Itci - Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale

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martedì 16 settembre 2014

Giornata mondiale per la prevenzione dei suicidi - Intervista Radio Vaticana

In occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio (10-11 settembre), l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha promosso una serie di iniziative per riflettere su un fenomeno sempre più drammatico nella società contemporanea: ogni anno, afferma l’Oms, un milione di persone si tolgono la vita. Il suicidio è un problema complesso e poco trattato e colpisce sempre più giovani che vanno dai 15 ai 34 anni. 

Martina Boccalini ne ha parlato con la psicoterapeuta Michela Pensavalli:



R - Intanto, si tratta di una fascia di età molto sensibile ai rischi a cui si espone la nostra modernità, quindi sono ragazzi molto giovani che però al tempo stesso vivono tutta l’incertezza del nostro tempo. Uno dei motivi è sicuramente l’appiattimento della visione del futuro e in questa fascia di età, in cui si desidera costruire il proprio avvenire, i ragazzi trovano difficoltà a vedersi proiettati in un futuro felice.

D. – Secondo lei, si può associare l’incremento del tasso di suicidio alla situazione di crisi della nostra società?

R. – Assolutamente sì! Sono ragazzi che non hanno speranza nel futuro. I nostri centri si popolano di ragazzi che sviluppano depressioni e spesso disturbi del pensiero che portano poi necessariamente al decadimento della speranza. Sicuramente c’è una labilità caratteriale e personologica: non possiamo dimenticare la correlazione del disturbo ossessivo-compulsivo – quindi le idee ripetute nella testa – che gettano la persona nella paura. Molto spesso il suicidio è legato poi a questa idea e sofferente della mente. Non esistono in effetti solo alcune cause o una o poche; le cause possono essere molte. Fondamentale è anche il contesto nel quale la persona vive:il supporto della famiglia, ad esempio, la rete sociale, le associazioni di persone che vivono attorno alla persona, quanto e cosa possono fare e hanno fatto fino al momento in cui la persona magari ha compiuto un gesto che inizialmente è solo dimostrativo, che dichiara solo una sofferenza, come sono i tentati suicidi, che però esprimono una sofferenza. Quello che avviene molto spesso in queste famiglie è che per vergogna, per difficoltà di accettazione, si nega il dolore. Quindi, sicuramente ciò che si apprende in un percorso di terapia è la necessità di accompagnare la famiglia stessa ad accettare la sofferenza del membro stesso della famiglia, che la porta. Riguardo alla persona stessa che dichiara di avere idee suicidarie, è importantissimo intanto comprendere l’idea ossessiva che sviluppa la depressione, e quindi è significativo tutto ciò che viene raccolto per le richieste di aiuto, se il tentativo diventa poi l’unica strada percorribile. Ed ecco che allora è fondamentale poter trasmettere a queste persone che vi è una strada possibile. Va preso anche in esame che dalla sofferenza non si possa uscire, perché negare il dato di realtà significa rinnegare la sofferenza. E in questa nostra società, oggi, facciamo tutti quanti un po’ fatica ad accettare le sofferenze.

D. – Pensa che questo argomento sia poco trattato?

R. – E’ poco trattato, in effetti, rispetto a quello che le statistiche ci dimostrano nei dati concreti. Le famiglie non sono ancora tanto pronte a trattare l’argomento. Anche nelle scuole, per esempio, è difficilissimo trattare l’argomento suicidio perché le famiglie, ovviamente, tendono alla negazione, si spaventano e hanno paura dell’effetto-omologazione. Bisognerebbe fare assolutamente molto più informazione sull’argomento. Sicuramente va fatto un lavoro di prevenzione del suicidio: quindi bisogna avere il coraggio di parlare un po’ di più, di capire le radici che portano poi alla sofferenza umana. Quindi, una formazione in più punti alla dimensione fiduciaria della crescita dei giovani, con attività che sviluppino la capacità di riconoscere le emozioni, di narrarsi e – perché no? – anche l’accettazione dei limiti, delle fragilità: ci sono cose da obiettare, da rinnegare della nostra vita, ma le imperfezioni fanno parte della vita. Quindi, un’ideologia di accettazione dei limiti più o meno espliciti di ogni essere umano.

mercoledì 3 settembre 2014

Aretusa, laboratorio sociorelazionale


Aretusa è un laboratorio socio relazionale, un luogo da cui ripartire, un luogo in cui mettersi in gioco, sperimentando il piacere della relazione con l’altro, attraverso diverse attività utili a vincere le difficoltà e le timidezze provate nelle relazioni interpersonali.
E' un luogo d’incontro dedicato a chi desidera migliorare le proprie relazioni interpersonali, e smettere di sentirsi un po’ solo.

La direzione scientifica è affidata al Prof. Tonino Cantelmi. 

Coordinatrice del progetto è la d.ssa Virginia Franciosa che si avvale dell'aiuto della dott.ssa Alessandra Uliano e della dott.ssa M. Cecilia Innocenzi.
La quota di partecipazione al laboratorio è di 10 euro a settimana.

Per info contattare la dott.ssa Virginia Franciosa al n. 366.4329724 o tramite mail all'indirizzo: virginiafranciosa@gmail.com - www.itci.it


martedì 2 settembre 2014

Salute: mai senza talismano, un'ossessione per 1,8 mln italiani - Tonino Cantelmi




Roma, 2 set. (AdnKronos Salute) - "Dall'abito portafortuna, che diventa una sorta di 'divisa' in occasione degli esami, fino al cornetto da appendere al portachiavi, o alla lettura delle carte. 
Il pensiero magico è diffuso fra gli italiani, che nel 90% dei casi vi ricorrono per controllare l'ansia e cercare di gestire gli imprevisti. 
Ma talvolta il 'responso' di maghi o cartomanti, o il legame con il portafortuna del cuore, finisce per diventare un'ossessione: è il caso del 2-3% degli italiani, 1,8 milioni di persone, 'schiavi' di rituali e oggetti-feticcio tanto importati da influenzare la propria vita". 
Parola dello psichiatra Tonino Cantelmi, docente di Psicologia dello sviluppo all'università Lumsa di Roma, secondo cui "in tempo di crisi il fenomeno aumenta".
"E questo - spiega l'esperto all'Adnkronos Salute - perché in un periodo di forte incertezza economica cresce la ricerca di sicurezza, di qualsiasi cosa in grado di offrire una speranza, una luce nei momenti bui. 
Così si sogna la svolta, magari con una vincita al gioco, e si rispettano rituali a cui si attribuisce il potere di influire sulla realtà. 
Il pensiero magico, infatti - dice l'esperto - è la convinzione che alcuni oggetti o determinate circostanze possano influire sul nostro destino". 
Ebbene, il nostro è in generale un popolo scaramantico. "Per fortuna si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di forme 'benigne': tutti abbiamo un portafortuna, un talismano, un oggetto che usiamo per controllare l'ansia. 
E sono davvero poche le persone che non gettano uno sguardo all'oroscopo - dice Cantelmi - magari alla vigilia di un evento importante. 
Il problema scatta quando questi riti finiscono per modificare il nostro comportamento".
E' il caso "di una celebre donna di spettacolo - riferisce lo psichiatra - che prima di qualsiasi decisione di lavoro o d'amore doveva consultare una serie di cartomanti, finendo per rinunciare a occasioni professionali anche importanti. In questo caso la superstizione, da 'alleata' per superare gli imprevisti o chiave di lettura per interpretare eventi o circostanze, è diventata una vera ossessione". 
E a fare la differenza non è, secondo lo psichiatra, la cultura. 
"La superstizione è democratica, come mostra la storia di professionisti, imprenditori o capitani d'azienda che si affidano a guru, maghi e cartomanti. 
Un atteggiamento trasversale, che affonda la sua radice nel bisogno irriducibile di controllare e di dare un senso alla realtà".
Dal ferro di cavallo al cornetto scacciaguai, fino ai tarocchi e agli oroscopi, "i giovani della generazione social non sono affatto immuni alla superstizione. 
Ma, certo, chi ha un atteggiamento più spavaldo in genere si lascia meno controllare da questi talismani. 
Nella mia esperienza, invece, le donne sono più sofisticate nella scelta del portafortuna". 
In generale, poi, "bisogna essere un po' ossessivi al contrario per non guardare mai, nemmeno di sfuggita, il proprio oroscopo: un 'rito' che accompagna la giornata di moltissimi italiani. Che magari ufficialmente non ci credono, ma poi però 'non si sa mai'".
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