Itci - Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale

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venerdì 17 maggio 2013

Il picconatore e il sindaco. La società postmoderna e l'incremento della violenza - Tonino Cantelmi


E VOI CHE NE PENSATE?? 
LASCIATE QUI IL VOSTRO COMMENTO:


di Tonino Cantelmi

Il picconatore e il sindaco: Kabobo semina il terrore per una lunghissima ora all’alba uccidendo più volte ePisapia perplesso chiede ai milanesi come sia stato possibile che per tutto quel tempo nessuno abbia chiamato i soccorsi. Kabobo e Pisapia icone della società violenta ed individualista?
Il tasso di violenza nella società postmoderna e tecnoliquida di oggi è aumentato? Secondo alcuni osservatori, sì: delitti intrafamiliari, derive violente del tifo, bullismo, eccessi di violenza e di aggressività nell’esecuzione di alcuni reati, mobbing, uso della violenza per la risoluzione dei conflitti, stalking, atti violenti correlati all’abuso di cocaina e di altre sostanze psicotrope, femminicidio e altri fenomeni, riportati con risalto dai media, sembrerebbero confermare questa ipotesi. Insomma i dati disponibili segnalano che la violenza e l’aggressività interpersonale presentano indici di incremento: che cosa sta succedendo?
I fenomeni in gioco, che, intrecciandosi fra loro, costituiscono la gelatinosa realtà che consente lo sviluppo di una impressionante espressività della violenza dell’uomo sull’uomo, sono riconducibili ad una epocale crisi della relazione interpersonale, propria della liquidità dei tempi postmoderni, con il conseguente trionfo di un narcisismo connotato dall’elefantiasi dei bisogni individuali e dalla ineluttabile necessità di soddisfarli.
Cosa ha determinato la crisi della relazione interpersonale? Molte osservazioni inducono a pensare che alla base della crisi della relazione interpersonale ci siano almeno tre fenomeni, essi stessi amplificati a dismisura dalla inarrestabile rivoluzione digitale.
Il primo fenomeno è senz’altro costituito dall’incremento del tema narcisistico nelle società postmoderne (di cui gli innamoramenti in chat, i profili e le amicizia in facebook sembrano essere i corrispettivi telematici), sostenuto da una civiltà dell’immagine senza precedenti nella storia dell’umanità, con la conseguenza che l’agire è determinato e sostenuto dalla coercitiva necessità di soddisfare i propri bisogni a qualunque costo.
Il secondo fenomeno è quello del sensation seeking, caratterizzato da una sorta di ricerca di emozioni, anche estreme, capace di parcellizzare e scomporre l’esperienza interumana facendola coincidere con l’emozione stessa (è come se tutta la relazione interpersonale coincidesse con l’emozione). La ricerca esasperata di emozioni e la lotta contro il vuoto interiore si traducono spesso in comportamenti antisociali e inutilmente violenti.
E infine il terzo fenomeno è correlato al tema dell’ambiguità, cioè alla rinuncia all’identità e al ruolo in favore di una assoluta fluidità dell’identità stessa e dei ruoli, con la conseguente rinuncia alla responsabilità della relazione ed alle sue caratteristiche generative. Le relazioni diventano così prevalentemente irresponsabili, trasformandosi in caricature grottesche, incapaci di consentire l’elaborazione dei conflitti, che possono cortocircuitare in agiti violenti, a volte apparentemente incomprensibili.
Relazioni narcisistiche, fondate sull’esperienza emotiva “forte” e sull’ambiguità, non lasciano spazio all’empatia, cioè alla capacità di capire e di condividere, anche emotivamente, il dolore altrui e, di conseguenza, di emettere comportamenti solidali e di aiuto verso l’altro. In questo contesto relazionale il conflitto si risolve o con la fuga e la rottura o con la violenza.
Perciò la sfida prossima ventura è proprio questa: la liquidità delle relazioni ammazzerà la solidarietà, costringendo l’umanità a relazioni sempre più virtualizzate e tecno mediate come unica soluzione per limitarne l’espressività violenta o l’uomo del III millennio saprà riscoprire la fatica, ma anche il piacere, di guardarsi negli occhi e di entrare in relazioni autentiche e solidali?


giovedì 9 maggio 2013

Violenza relazionale e femminicidi. I servizi di cura mentale allo stremo delle forze - Tonino Cantelmi


Tonino Cantelmi - 09/05/2013

Uccise perché donne. E uccise da una persona che in un tempo passato le ha amate, forse troppo e forse male. Questo è il femminicidio: l’omicidio di una donna che matura nell’ambito di una relazione di amore in fase di deriva. Gli eventi di cronaca degli ultimi tempi ci segnalano una serie di delitti di questo tipo che ha impressionato gli italiani. I numeri dicono che ogni due o tre giorni una donna viene uccisa in Italia da un ex marito o da un amante respinto. Uomini feriti nel loro narcisismo, troppo fragili per gestire la frustrazione relazionale, dominati dall’incoercibile bisogno di affermare se stessi attraverso la violenza.
Le vittime in genere hanno chiesto aiuto, molti sapevano, tanti gli indizi di una tragedia incipiente: ma nessuno è intervenuto. Ecco il primo mito da sfatare: giornalisti, per favore, basta con il raptus! Tutto è stato largamente annunciato, tutto era purtroppo prevedibile: no, non si tratta di raptus, ma di catene di dolore che nessuno può o sa interrompere. Certo, questa incredibile cecità ci interroga. In fondo siamo sempre connessi, sempre in relazione, sempre incessantemente lì a twittare, postare, chattare, eppure siamo sempre più soli. E ancora di più: l’elefantiasi dei nostri “io” ci spinge verso un individualismo esasperato, che sembra soppiantare ogni forma di solidarietà. Ma al netto di tutto ciò, perché il grido di aiuto delle vittime non viene raccolto? Forse perché ancora prevale una mentalità derivata da un misto di accondiscendenza, paternalismo e buonismo: sì, è un po’ violento, ma su, con un po’ di buona volontà si rimette tutto a posto. E invece no. Se in una relazione c’è violenza, mi spiace, ma la tolleranza non può che essere zero. E questo vale anche per le donne che subiscono: subire non ha senso. Denunciate piuttosto. I politici ci promettono più attenzione per questo fenomeno e qualche ministro propone nuove strutture e nuovi interventi: nel migliore dei casi ignoranti o ingenui, nel peggiore ipocriti. O forse entrambi. In Italia c’è già una legislazione efficace: occorre però potenziare quelle strutture che già ci sono e che sono colpevolmente trascurate. Gli stessi politici e ministri dovrebbero chiedersi perché i servizi per la salute mentale in Italia sono ridotti allo stremo delle forze: sotto organico, senza finanziamenti, umiliati nella logistica (i locali più squallidi di una ASL vengono adibiti a servizi per la salute mentale). Ci sono già associazioni, telefoni, sportelli, centri antiviolenza: perché non potenziarli? Perché non finanziare e non mettere in grado i Dipartimenti per la Salute Mentale, sì, le strutture pubbliche, di funzionare, restituendo loro il compito di riorganizzare una rete territoriale efficace per contrastare il disagio psichico e sociale che sottende la violenza relazionale? Tuttavia questo non può essere ancora sufficiente senza una prevenzione ed una educazione alla relazione, che non può non iniziare già nell’infanzia. Pensiamo al fenomeno della erotizzazione precoce dei bambini, bombardati troppo e troppo presto da immagini, stimoli, contenuti erotici espliciti. Che idea del corpo (e in particolare del corpo femminile) si costruiscono i nostri figli? Nel femminicidio assistiamo increduli al cortocircuito del conflitto relazionale: uomini fragili, ma aggressivi, feriti in modo insopportabile nel loro narcisismo e che non possono tollerare la frustrazione relazionale, aggrediscono sino alla morte vittime, che a loro volta non riescono a svincolarsi dalla morsa di una relazione ormai degenerata. In questo c’è una complessiva incompetenza relazionale, che ci spinge a chiederci che tipo di società stiamo costruendo. Forse dovremmo spostare l’asse già nell’infanzia verso una educazione alla solidarietà ed al rispetto dell’altro, parole queste desuete e soppiantate da altre, come competitività, successo e altre simili. Tutto ciò non può prescindere perciò da una rivisitazione dei percorsi educativi nel loro complesso. E da una rivisitazione dei modelli e degli stili di vita che proponiamo. Perciò io credo che ogni femminicidio sia una sconfitta che interpelli tutti e che segnala la progressiva perdita di umanità, che sembra connotare questa epoca postmoderna e tecno liquida.



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