LASCIATE QUI IL VOSTRO COMMENTO:
http://notizie.tiscali.it/regioni/lazio/socialnews/Cantelmi/5497/articoli/La-crisi-dell-identit-nella-societ-postmoderna-tecnoliquida.html
di Tonino Cantelmi
Esserci, esserci-con,
esserci-per: questa è la “progressione magnifica” che permette di partire da un Io
(l’esserci), per passare ad un Tu (l’esserci-con) e infine giungere ad un Noi
(l’esserci-per), dimensione ultima e sola che apre alla generatività, alla
creatività ed all’oblatività.
Il punto di partenza della “progressione magnifica” è l’esserci, che in ultima analisi richiama
all’identità. Nella “cultura del narcisismo”, per usare la definizione di
Christopher Lash, anche le espressioni più progressiste dell’identità sono
contaminate da una straordinaria enfatizzazione dell’ego, dalla elefantiasi dei
bisogni di autoaffermazione e da una sorta di emergenza di uomini e donne
“senza qualità”, come direbbe Robert Musil.
Ma cosa vuol dire
“esserci” nella società tecnoliquida? Esserci vuol dire
rinunciare ad una identità stabile, per entrare nell’unica dimensione
possibile: quella della liquidità, ovverossia dell’identità mutevole, difforme,
dissociata e continuamente ambigua di chi è e al tempo stesso non è. In fondo
la tecnologia digitalica consente all’uomo ed alla donna del terzo millennio di
essere senza vincoli, di tecnomediare la relazione senza essere in relazione,
di connettersi e di costruire legami liquidi, mutevoli, cangianti e in ogni
istante fragili, privi di sostanza e di verifica, pronti ad essere interrotti.
Cosicché si è passati dall’uomo-senza-qualità di Musil all’uomo-senza-legami di
oggi in una sorta di continuità-sovrapposizione che viene a definire il nuovo
orizzonte del tema identitario. Ed ecco che l’esserci è minato alla sua
origine. La crisi dell’identità maschile e femminile, per esempio, ne è
l’espressione più evidente. L’identità, cioè l’idea che ognuno di noi ha di se
stesso e il sentirsi che ognuno di noi sente di se stesso, è dunque in profonda
crisi, e il nuovo paradigma è l’ambiguità.
La crisi dell’esserci
ha una prima conseguenza. Se all’uomo d’oggi è precluso il raggiungimento di
una identità stabile, che si articola e si declina nelle varie dimensioni, come
in quella psicoaffettiva e sessuale, la conseguenza prima è che l’esserci-con (per esempio la coppia) assume nuove e
multiformi manifestazioni. L’esserci-con non è più il reciproco relazionarsi
fra identità complementari (maschio-femmina per esempio), sul quale costruire
dimensioni progettuali nelle quali si dispiegano legittime attese esistenziali,
ma diviene l’occasionale incontro tra bisogni individuali che vanno
reciprocamente a soddisfarsi, per un tempo minimo, al di là di impegni
reciproci e di progetti che superino l’istante. L’esserci-con è fatalmente
legato alla soddisfazione di bisogni individuali che solo occasionalmente e per
aspetti parziali corrispondono. In altri termini l’incontro tra due persone è
fondamentalmente basato sulla soddisfazione narcisistica, individuale e direi
solipsistica di un bisogno che incontra un altro bisogno, altrettanto
narcisistico, individuale e solipsistico. Questo incontro si dispiega per un
tempo limitato alla soddisfazione dei bisogni e l’emergere di nuovi e
contrastanti bisogni determina inevitabilmente la rottura del legame e la
ricerca di nuovi incontri. La fragilità dell’essere-con dei nostri tempi si
evidenzia attraverso la estrema debolezza dei legami affettivi, che manifestano
una ampia instabilità ed una straordinaria conflittualità. Se l’identità è liquida,
anche il legame interpersonale è liquido, cangiante, mutevole, individualista e
fragile. L’uomo del terzo millennio sembra rinunciare alla possibilità di un
futuro e concentrasi sull’unica opzione possibile, quella del presente
occasionale, del momento, dell’istante.
Fatalmente, il trionfo dell’ambiguità
identitaria, la rinuncia al ruolo ed alla conseguente responsabilità, il
ridursi dell’esserci-con all’istante ed al bisogno, fatalmente tutto questo
mina l’esserci-per, cioè la dimensione
generativa e oblativa dell’uomo e della donna. Per esempio, se decliniamo tutto
ciò nell’ambito psicoaffettivo e psicosessuale, la rinuncia all’esserci
(identità sessuale e relativi ruoli) non può non trasmettersi in una
inevitabile mutazione critica della dimensione coniugale (esserci-con), che a
sua volta precipita in una crisi senza speranze la dimensione genitoriale
(esserci-per). Ed infatti la transizione al ruolo genitoriale sembra divenire
una sorta di utopia: la rinuncia alla genitorialità o il suo semplice rimandarlo
nel tempo sono un fenomeno sociale tipico dei nostri tempi. Perciò identità
liquide fanno coppie liquide, che a loro volta fanno genitori liquidi, dove per
liquido possiamo intendere molte cose, ma una soprattutto, la debolezza del
legame.
La “progressione magnifica”, di cui
parlavo all’inizio, diviene dunque una progressione
“liquida”. Ma il punto di partenza è nell’esserci, ovvero nel tema dell’identità.
Nell’epoca di Facebook, l’identità si virtualizza, come anche le emozioni,
l’amore e l’amicizia. La virtualizzazione è la forma
massima di ambiguità, perché consente il superamento di vincoli e di confronti, aprendo a
dimensioni narcisistiche imperiose e prepotenti.
Eppure qualcosa non
funziona.
Lo avvertiamo dall’incremento del
disagio psichico, dal sempre più pressante senso di smarrimento dell’uomo tecnoliquido, dalla ricerca
affannose di vie brevi per la felicità, dall’aumento del consumo di alcol e
stupefacenti negli stessi opulenti ragazzi della società di Facebook,
dall’affermarsi di una cupa cultura della morte, dall’inquietante incremento
dei suicidi, dal malessere diffuso. Qualcosa dunque non funziona: la liquidità
dell’identità, con tutte le sue conseguenze, non aumenta il senso di felicità
dell’uomo contemporaneo. Alcuni studi sul benessere fanno osservare che la
felicità non è correlata con l’incremento delle possibilità di scelta. Questi
dati fanno saltare una convinzione che sembrava imbattibile. La felicità dunque
non è correlata con l’incremento delle possibili scelte dell’uomo (una visione
ovviamente molto legata al capitalismo), ma gli stessi studi correlano la
felicità con il possedere invece un “criterio” per scegliere. Avere un criterio
per scegliere rimanda ad altro: avere un progetto, delle idee, una identità.
Ed ecco che il cerchio si chiude: il tema della
liquidità è sostanzialmente il tema della rinuncia ad avere criteri (cioè dimensioni di
senso). Ma questa rinuncia ha un prezzo: l’infelicità. Ecco perché la
“magnifica progressione” mantiene anche oggi, e direi soprattutto oggi, un alto
valore, proprio per il suo portato anti-liquidità. Costruire dimensioni
identitarie stabili e non ambigue, instaurare relazioni solide e che si
dispiegano lungo progetti esistenziali che consentono l’apertura alla
generatività ed all’oblatività, sono ancora, in ultima analisi, l’unico
orizzonte di speranza che si apre per l’uomo del terzo millennio, immerso nel
cupo e doloroso paradigma della tecnoliquidità.
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